Da alcune osservazioni sul campo, pare proprio che questa dipendenza sia in aumento anche nella terza età
Figli e genitori, chi sono i più dipendenti da cellulari e tablet?
Quante volte nella mia professione, consiglio ai genitori di approfittare dei momenti vuoti per dialogare coi propri figli, col partner, insomma, parlare confrontarsi, discutere sugli argomenti più vari!
I momenti vuoti sono molti di più di quanto ci rendiamo conto: quando facciamo i taxisti per i nostri figli adolescenti non ancora in età di patente, quando accompagniamo i bambini a nuoto, quando aspettiamo per entrare dal medico insieme a loro e tanti altri minuti e mezze ore preziose. Dialogare non significa fare l’elenco dei “ti ricordi, hai chiesto i compiti al compagno di classe, hai messo a posto i cassetti, hai fatto merenda? “ Non i terzi gradi a senso unico, non gli interrogatori superveloci del mattino mentre si scendono le scale per portarli a scuola, mentre si infila l’ultima manica del giubbotto o si chiude lo zaino slacciato correndo, niente di tutto questo. Parlo dei momenti realmente vuoti, di attesa, in auto, nelle sale di attesa per qualsiasi motivo.
Sempre più spesso vedo papà silenziosi attenti solo allo schermo del proprio cellulare, con figli altrettanto silenziosi e presi dallo schermo del telefonino, o del tablet quando aspettano la cena al ristorante, perchè il tablet si appoggia sul tavolo ed è più comodo , basta appoggiarlo e smanettare tutta la sera, passando da un social network all’altro, ai messaggi watsup dei vari gruppi, il tutto col piatto di fianco e una forchettata ogni tanto, distrattamente, come se il lavoro principale fosse quello dedicato a internet, non la cena.
I genitori impassibili, ormai arresi al potere mediatico di internet, se pochi anni or sono colloquiavano amabilmente tra loro coinvolgendo qualche volta i rampolli, ormai li imitano, i rampolli. Mamma col cell, tra il gruppo delle amiche e quello della palestra, zappetta qua e là in pluriconversazioni, testimone solo il sorrisetto che di tanto in tanto spunta sul suo viso. Il padre, occhi fuori dalle orbite, passa da una mail all’altra, prolungando senza problemi l’orario di lavoro dopo incessanti dodici ore continuate: dalle 8 del mattino quando parlava a voce alta al suo capo dal cell collegato al bluetooth della sua auto, fino all’ora di cena, ore 20 al ristorante con famiglia al seguito, del tutto estraniato come estraniati anche gli altri componenti della famigliola.
I suoni nei luoghi di ritrovo come i ristoranti, i bar nella pausa pranzo, i treni, le sale d’attesa dei medici, le carrozze delle metropolitane, brulicano di bipbip, clin clang, trin trin, spash, slash, breeeee……non più voci umane, bensì le suonerie dei cellulari , quelle delle telefonate, quelle dei watsup, quelle degli sms, le musichette, o al massimo i dialoghi di qualche film o musiche di spettacoli da you tub.
Quando dico ai padri: “Parli con suo figlio! Occorre dialogo, il bambino sta solo tutto il pomeriggio dopo la scuola, quando lei torna passi il tempo col bambino, fate cose insieme e raccontatevi la giornata, giocate insieme, insomma, comunicate!”
Il padre di famiglia: “ Ma certo dottoressa, noi parliamo! Stia tranquilla, è cosi”
Il pater risponde convinto e quasi convincente. La volta successiva li lascio apposta quindici minuti in sala d’attesa prima di chiamare il ragazzino, per vedere se approfittano di questo tempo prezioso, per vedere se sono davvero abituati a parlare.
Intanto non sento volare una mosca, dal mio studio il silenzio assoluto. Apro la porta e mi metto in ascolto, il nulla. Sembra che in saletta non vi sia nessuno. Dopo cinque minuti di silenzio assoluto, vado di là, li saluto , poi dico “Che bello che ti ha accompagnato il papà! Così avete un po’ di tempo da passare insieme, per parlare. Chissà quante cose avrete da dirvi!”
“Si, si” – conferma papà. In mano il tablet , sta guardando cose di lavoro.
“Si,sì” – conferma il figlio. I suoni del suo cellulare, anche se a basso volume, smascherano il giochino cui si sta dedicando.
Torno di là. Ancora silenzio assoluto. Quando li chiamo finalmente in studio, i due sono ancora due perfetti estranei. Ognuno talmente concentrato sugli affari propri che nemmeno si sono guardati. Il papà spegna l’aggeggio solo al momento di entrare nel mio studio. Il figlio non spegne affatto il suo cellulare, che continua di tanto in tanto a emettere versi improvvisi e terrificanti, finchè non glielo chiedo espressamente io , di spegnerlo. Il padre non fa una mossa, evidentemente assuefatto ai suoni continui di sottofondo.
Mi guardano con occhi vitrei , il ragazzino ha le occhiaie, occhio puntato verso l’amato schermo, che non osa mollare, la mano ad accarezzarlo per tutta la durata della seduta. Insomma, un sostituto della copertina di Linus.
All’autogrill i due anziani, ma quanto parlano tra loro!
Oggi sono in autostrada, entro in autogrill e mi accomodo in zona Spizzico per una pizza. Mi siedo, mi rilasso, bevo la mia coca zero e mi guardo intorno, come faccio sempre quando sono in un locale pubblico. Curiosità professionale.
Pregusto la bella fetta di pizza calda mozzarella filante e nell’attesa, vedo solo tre tavoli occupati. Il silenzio impera. Intendo quello di voci umane. Dietro le quinte, solo il barista ogni tanto annuncia: la pizza margherita! la focaccia con pomodoro e crudo! la birra con panino al salame!
Due tavoli sono occupati da due single. Normale che mangino col cellulare sul tavolo. “Poveretti, mi dico, sono soli, cosa devono fare?”. Naso sullo schermo, dita corrono sulla tastiera velocissime, alla pizza è concessa attenzione quasi nulla.
Poi lo sguardo mi cade sul tavolo in fondo, di fronte alla vetrata.
Due persone di età approssimativa 65-69, mangiano in religlioso silenzio il loro trancio fumante. Posizione simile a quella dei due single. Uno di fronte all’altra, marito e moglie presumibilmente, non si degnano nè di uno sguardo nè di una parola. Faccia non dentro la pizza, ma china sul tavolo, ognuno sul proprio cellulare. Non si guardano l’uno con l’altro, non parlano tra loro.
Attenti e intenti, il dito si muove veloce, immersi come bambini nel loro gioco preferito. Tanto interessati al gioco che non si accorgono di nessuna presenza umana a fianco a loro. Nemmeno del cagnetto che lei tiene al guinzaglio, che gironzola finchè il laccio glielo consente, poi strepita, si accuccia, vuole coccole, vuole la pizza, vuole attenzioni insomma.
Nulla li smuove dal loro giochino. Cosa ce l’avranno a fare il cagnetto?
Cosa avrà internet da attrarre cosi tanto ormai anche la terza età? Tanto attraente da parlare in rete, watsup, mail o quant’altro , tanto interessante da aver fatto diventare tutti esperti dattilografi super rapidi anche in età da pensione, tanto da riuscire a rimanere concentrati per tutto il pranzo su un piccolo schermo come quello di un telefonino.
Forse la risposta è che in internet non ci si annoia? Che se ci si annoia si cambia in una frazione di secondo la persona, il posto, la vacanza, la città, gli oggetti, la vita. A proprio gusto, e permette di sognare, correre e andare in capo al mondo….
Certamente, sono sogni, ma i sogni riempiono l’esistenza dei più. Anche se non si avverano L’importante è sognare. Il sogno mantiene viva la speranza. E di questa ci si può nutrire. La realtà i sogni li ammazza, se non ci si allena a modificarla, a temprarla, a parlarsi per adattarvisi se non è possibile cambiarla.
Internet è il sogno che è anche realtà di un istante. Poi si cambia realtà, ancora e ancora. Sarà questa la dipendenza che porta i vecchietti a diventare, anche loro, dipendenti da internet? Certamente, su internet non si invecchia mai. E se una risposta non piace, vado altrove dove sono più contento.
Semplice, no?
Paola Federici