Facciamo un po’ di chiarezza sul percorso psicoterapeutico e sul perchè a volte si sospende prima di averlo concluso
di Paola Federici
La prima domanda che mi pone un paziente al termine del primo incontro – oltre a conoscere la cifra , cosa più che ovvia – è quanto durerà il percorso?
Anche questa domanda è ovvia, nell’ottica comune, molto meno invece lo è per gli addetti ai lavori. Infatti i risultati e il benessere che ne trarrà il paziente, ma soprattutto in quanto tempo starà bene, è una domanda cui non è possibile rispondere con certezza.
Eccone i motivi principali, che spiego in prima seduta ai nuovi pazienti, se non altro perchè siano informati, come è nostro dovere di terapeuti.
- Per prima cosa, è bene sapere che i risultati del percorso psicoterapeutico, di qualunque impostazione esso sia, non dipendono solo dallo psicoterapeuta. E’ la ragione per la quale dubito di coloro che passano da uno psicologo-psicoterapeuta all’altro, senza completare il percorso da nessuno. Come dire che se vado per un mese da uno, poi cambio e vado due mesi da un altro, poi cambio di nuovo con un terzo, lasciando i percorsi interrotti, il motivo sarà da ricercare proprio nelle problematiche dello stesso paziente. Ad esempio con questo comportamento ripetuto come un copione sempre uguale , egli sta negando di essere lui ad avere un problema. E’ incapace di autocritica: le colpe sono sempre degli altri.
- I risultati dipendono non solo dalla capacità e dall’intuito del professionista, ma anche da quanto il paziente sia pronto a mettersi in discussione. Se la persona non si mette in gioco, continuerà ad agire senza una sufficiente autocritica, poco aderente alla realtà e poco costruttiva. Sto facendo solo alcuni esempi di chi non è intenzionato – per svariati motivi – a collaborare col terapeuta. E’ ovvio che spesso questi comportamenti sono inconsapevoli e si nascondono dietro a motivi razionali: la signora che non si esercita a casa nel training autogeno perchè ha il bambino da accudire, o la cena da preparare, la suocera che va e viene da casa sua…..sono ragioni che delineano una tipologia di personalità dipendente e piuttosto passiva. Il terapeuta in questi casi può stimolare la persona a trovare soluzioni col marito, a farsi aiutare per le pulizie da una colf, a gestire il bimbetto con un po’ di regole sugli orari per metterlo a dormire molto prima della mezzanotte, a chiarire a mamme e suocere che la casa non è un porto di mare…..
- Se alla luce di tutto ciò, la paziente non fa nulla per tentare di apportare qualche piccola modifica nello stile di vita suo e familiare, purtroppo non uscirà dalla sua tendenza al vittimismo. E il percorso si bloccherà o si sospenderà “perchè non trovavo risultati” – dice spesso l’ex paziente. O magari cambierà terapeuta nell’illusione della bacchetta magica!
- Lo psicologo/psicoterapeuta è una figura professionale di supporto , che aiuta a riconoscere in se stessi capacità e risorse che non si pensava di avere. Perciò scoprire queste risorse inn se stessi, può migliorare l’autostima e la sicurezza di sè. Si tratta di risorse sempre trascurate e mai esercitate, a causa di svariati motivi: un carattere remissivo, un’educazione troppo rigida, periodi di vita faticosi e cosi via. Ma se la persona che si rivolge a uno psicoterapeuta non si mette in gioco, anche con una certa fatica, non otterrà granchè. Spesso si demotiva ai primi ostacoli.
- E’ più facile cambiare psicoterapeuta che cambiare qualcosa in se stessi. Eppure è solo questa la strada da percorrere. Cominciare con cambiamenti anche minimi. Solo dai piccoli cambiamenti iniziali si trarrà il coraggio di fare altri cambiamenti che a loro volta daranno l’entusiasmo vitale, in luogo della tendenza depressiva di partenza.
- Quante persone non hanno il coraggio di chiedere una posizione di responsabilità pur avendone le competenze? O anche un aumento di stipendio che sarebbe dovuto da tempo? Vivono sperando che il capo glielo proponga, subendo passivamente orari assurdi, impegni eccessivi, portandosi a casa il lavoro da finire la notte…mentre le speranze si affievoliscono. Gli esempi di condotte che sono all’origine di malessere psichico sono moltissimi e in molteplici settori di vita sia personale che lavorativa.
- Un altro dei motivi per cui le psicoterapie si interrompono anzitempo, è la scarsa sincerità del paziente. Personalmente chiedo sempre alla persona che ho davanti, fin dall’inizio, la sincerità. Soprattutto verso il terapeuta. E’ un ottimo esercizio. Se lo psicologo può aver detto una frase da cui il paziente si è sentito offeso, deluso o semplicemente in disaccordo, sarebbe bene dirlo subito! Grazie alla chiarezza nella comunicazione si potrà proseguire. Se mettiamo una pietra su qualcosa di non risolto, non si potrà che peggiorare la situazione. Inoltre con la sincerità si permette anche al terapeuta di poter chiarire un malinteso e soprattutto di capire meglio le reazioni del paziente. Meglio chiarire che sparire senza dare spiegazioni.
- I percorsi lasciati a metà con scuse e pretesti da parte dei pazienti sono più di quanto non si pensi. Capita talvolta che per evitare confronti, per timore di discussioni e o di dover modificare qualcosa nella propria vita, si eviti l’ostacolo e la persona scappi. Il paziente scappa in tanti modi: il peggiore per lui ovviamente è la fuga. Semplicemente non si fa più vivo. Se gli telefonate non risponde. Un’ altra modalità è non farsi più vivo dopo le ferie. Se gli telefonate addurrà delle scuse legate al lavoro, agli impegni, e cose simili. Altri diradano gli incontri senza preavvertire: all’ultimo momento hanno la febbre, poi il bambino è al pronto soccorso, poi la mamma malata….il motivo profondo è che non ce la fanno a proseguire quando si è arrivati a toccare un nucleo importante del loro percorso di vita. Ma non sono ancora pronti a rimuoverlo, a discuterne, a sviscerarlo. Talvolta scelgono inconsciamente di abbandonare e di accettare piuttosto di convivere con i loro sintomi.
- Quando dopo un paio di sedute, ci si accorge che non si è creato un minimo di fiducia verso lo psicologo , è meglio ascoltare il proprio istinto. Non per forza tutti ci riescono simpatici! E’ un segnale da non trascurare. Tentate don un altro. E’ consigliabile inoltre informarsi nel corso del primo incontro sull’orientamento dello psicologo e di chiedere se sia anche psicoterapeuta. Non molti sanno infatti che per diventare psicoterapeuta occorre un ulteriore quadriennio di studio teorico e pratico dopo aver conseguito la laurea in psicologia. Infine è diritto dei pazienti chiedere l’ orientamento specialistico (per esempio psicoanalitico, psicodinamico, cognitivo-comportamentale, tecniche ipotiche e cosi via). E’ importante comprendere quali metodologie si utilizzeranno e se siano le più adatti per voi. Un modo semplice per cominciare il percorso è sentirvi a vostro agio con lo psicoterapeuta.
- Abbandonare invece dopo alcuni mesi il lavoro terapeutico, significa che si fugge di fronte a un ostacolo, ci si nasconde dicendo piuttosto che il terapeuta non vi capisce. Chi sta fuggendo da se stesso, sospendende o va altrove. In questi casi sarebbe preferibile trovare la forza di parlare con sincerità al terapeuta sui motivi del disagio che si è venuto a creare, evitando cosi di scappare.
- Con le tecniche cognitivo comportamentali , L’EMDR e strategie simili molto attuali , il percorso terapeutico si è notevolmente accorciato. Non sarebbe ipotizzabile oggigiorno seguire per 8 o 10 anni una psicoanalisi tre volte la settimana. Quanto meno la maggior parte di utenti ne sarebbe esclusa per motivi puramente economici. Dalla mia esperienza, pur non potendo definire a priori la lunghezza del periodo di psicoterapia, essendo questa legata alle problematiche del richiedente, oggi un percorso può andare dai tre/quattro mesi a un anno circa o poco più. In genere propongo una seduta alla settimana nei primi tempi, in seguito, quando la persona comincia a stare meglio e diventa più autonoma a livello emotivo, le sedute si diradano, fino a concludersi.
- E’ mia abitudine lasciare poi la porta aperta a chi ha concluso, per qualche incontro anche sporadico in casi di bisogno o di recidive, che, se il lavoro è stato svolto con continuità, sono di solito di breve durata.