Mini dizionario dei disturbi psicologici molto comuni: ansia e depressione, cosa sono e come si curano . Psicologa a Binasco e sud Milano

Molti soffrono d’ansia e non lo dicono….per vergogna!

Articolo della dott.ssa Paola Federici, Psicologa psicoterapeuta a Binasco e sud  Milano

ansiaEcco un breve elenco di sintomi e disturbi psicologici che sono molto più comuni di quanto la gente pensi: molti soffrono d’ansia e non lo dicono, un certo numero di persone ha o ha avuto nel corso della vita attacchi di panico, ma poichè se ne vergogna, non lo dice. E così abbiamo pensato di fare una sorta di elenco dei disturbi più comuni….non perchè “mal comune mezzo gaudio”, bensì perchè rendersene conto può dare la spinta necessaria a farsi aiutare e risolvere una volta per tutte. Troverete una breve descrizione di quanto accade per ogni disturbo, talvolta con qualche esempio.

Se qualcuno vuole inviarci le proprie esperienze (inviandoci una mail o compilando il modulo allegato nel link “scrivi alla psicologa”), tratteremo l’argomento. Ovviamente, tutto sarà nell’anonimato. Potete firmare solo con le iniziali o un nome di fantasia.

Ansia

L’ansia è una delle componenti più comuni di altre sindromi nevrotiche: la depressione ad esempio è spesso definita come sindrome ansioso-depressiva, l’ansia è amplificata negli attacchi di panico, è parte integrante nelle fobie di qualsiasi tipo (paura di volare, paura dei luoghi chiusi o aperti, paura di salire in ascensore, di guidare l’auto ecc.). Le strategie che utilizzo sono di tipo cognitivo comportamentale e antistress,  inizialmente hanno lo scopo di “tamponare” l’ansia, in modo di consentire in seguito di avere tempo di pensare e agire seguendo un percorso insieme al terapeuta e seguito in modo graduale.

Depressione

La depressione, come dice il famoso psicoterapeuta americano Michael Yapko, autore del libro “ Rompere gli schemi della depressione “, del quale sono stata allieva, ” La depressione è un insieme di risposte comportamentali che spesso sono apprese” . L’apprendimento quasi sempre avviene in famiglia, basta un genitore depresso e nell’infanzia, quando non si hanno ancora risorse sufficienti  e i genitori sono percepiti come onnipotenti,  si apprende a reagire alle situazioni della vita in modo depressivo. Per superare la depressione, da adulti talvolta basta lavorare su modi diversi di “pensare” e quindi di “agire”. Occorre ovviamente un periodo di allenamento graduale, perchè si richiede alla mente di “modificare” alcune risposte alle situazioni che dopo mesi o anche anni, arrivano in modo talmente automatico da non rendersene nemmeno conto.

Il lavoro, anzi l‘allenamento, ha lo scopo di diminuire le risposte automatiche in modo graduale e sostituirle via via con risposte più utili e costruttive per la sicurezza e l’autostima della persona. Ogni modifica costituirà anche una gratificazione per il depresso che man mano  impara che “è possibile” cambiare le proprie risposte e che i benefici sono di gran lunga più gratificanti dei sintomi. L’obiettivo è che la persona raggiunga la completa autonomia di vita.

Questo “allenamento” è il percorso guidato che si fa in psicoterapia cognitivo comportamentale. Non c’è niente di misterioso e magico nella depressione e nell’ansia, sono risposte che si possono modificare con uno specifico allenamento emotivo e mentale.

Difficile il fai da te, consigliabile affidarsi a un espertodepressione 2

Dott.ssa Paola Federici, psicoterapia cognitivo comportamentale, psicoterapie brevi e autogene ,riceve a Binasco (Mi) e a Milano. Tel. 339.4632424 – o mail a: paolafedera@gmail.com

 

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Consigli pratici per depressi – Strategie e rimedi della psicoterapeuta Paola Federici di Binasco e sud Milano

Semplici strategie e rimedi  anti depressione

Articolo della dott.ssa Paola Federici, psicologa psicoterapeuta a Binasco e sud Milano

Sentirsi tristi, affaticati, demotivati, non provare piacere per nulla, nemmeno per le attività che un tempo rendevano gioiosi, vedere il futuro tutto nero, amplificare ogni esperienza negativa tanto da percepirla come un problema insormontabile. Questi e altri sintomi simili possono far pensare a una depressione.

Attenzione però, perchè oggi troppo spesso e con eccessiva facilità si tende a definirsi depressi, talvolta si tratta solo di una reazione malinconica perchè ci si “sente giù” per un evento realmente accaduto, ma questa è una normale reazione che in genere dopo un po’ di tempo tende ad affievolirsi e trovare soluzioni alternative e sane.
Diversamente, se  si pensa subito di  “essere depressi” , ci si può creare la convinzione di esserlo veramente e non si mettono in atto alcune strategie preziose che aiutano a uscire dall’impasse.  Prestiamo attenzione se ci sia stato un evento scatenante nella propria vita: una chiusura di un rapporto affettivo, la perdita del posto di lavoro o una delusione in amicizia, oppure un lutto. La persona in equilibrio è normale che trascorra un periodo giù di corda, poi trova le strategie per uscirne, le motivazioni legate al proprio presente e futuro per farsi coraggio , per razionalizzare un evento che, se ci pensiamo, nella vita di ognuno prima o poi accade.

Fattori chimici o ambientali nella depressione?

La depressione  nasce da una serie di concause , che sono di origine biochimica ma non solo. Importanti sono i fattori ambientali che possono aver portato a una predisposizione, per meglio dire,  a comportamenti appresi  nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza dal proprio ambiente familiare. Se vi sono credenze, convinzioni, modi di reagire negativi  nella famiglia di origine in cui si è cresciuti, o addirittura, un genitore è depresso/a, è facile che il figlio o la figlia lo diventi. Come dire che le risposte agli eventi della vita  sono “apprese” da modelli dell’ ambito familiare,principalmente dai genitori. Anche la risposta depressiva e  i comportamenti che ne conseguono sono in gran parte appresi.

La psicologia cognitivo comportamentale tiene conto di questi fattori e, non di rado, un depresso che segua un percorso di psicoterapia di questo orientamento, può uscire dal suo stato anche senza farmaci, soprattutto se la situazione viene affrontata prima che si cronicizzi.

Vi sono poi dei comportamenti che diminuiscono il livello di serotonina, ormone fondamentale del benessere, tanto da essere definito “ormone del buonumore”.
Ad esempio, chiudersi in casa, stare a letto tutto il giorno, abbandonare le consuete attività, frequentare persone ansiose o pessimiste, avere genitori iperprotettivi, che non consentono l’autonomia, compresa la possibilità di commettere errori,  rinunciare a seguire i propri interessi, svolgere un lavoro che annoia o che non fa per noi, fare scelte per accontentare gli altri (famigliari, genitori, seguire gli amici per non trovarsi soli, ecc.).

depress. allegriaStili di vita anti-depressivi

  1. Un percorso di psicoterapia può fornire dei modelli di risposta diversi dal ripiegamento depressivo su di sè, fare ciò che un genitore ottimista di solito fa coi propri figli: incoraggiare, mostrare esempi, gradualmente chiedere di fare piccole cose che il paziente non ha mai fatto prima, stimolare l’attività, l’iniziativa, i tentativi di autonomia, in luogo dell’iperprotezione, della paura, della passività. Insomma, se non si fa nulla per modificare le proprie abitudini e stile di vita, si sta remando contro la sanità psicofisica e si è a rischio depressione.
  2. L’importanza dell’attività fisica costante. Il movimento fisico incrementa la secrezione di serotonina, come praticare uno sport con piacere, stare all’aria aperta, aprire le finestre quando c’è il sole e godere delle ore del giorno, anche semplicemente camminare o pedalare. Se una persona non esce, non prende aria, non vede nessuno e sta tutto il giorno in casa a ruminare sui propri trascorsi, sulle situazioni negative accadute, si rimane come si è.
  3. Agire, prendere l’iniziativa, anche a costo di commettere qualche errore. Se non si sbaglia non si impara. Smettere di pensare al passato. Vivere nel presente e organizzare il domani.
  4. Evitare di focalizzarsi sempre e solo sulle cause dell’attuale star male, che sono legate al passato. Cercare invece di modificare le risposte alla tristezza e agire di conseguenza, in modo graduale. L’individuazione delle cause reali può non essere semplice, sia per il medico, lo psicoterapeuta che per il paziente che cerca di autoanalizzarsi, perdendosi in rompicapi ossessivi da cui è difficile uscire da solo. E anche quando si è capito il motivo della depressione, se non si cercano strategie alternative si rimane depressi.
  5. Pensare che nessuno è “sfortunato” in tutto e altri fortunati. A tutti accadono avvenimenti negativi. Eppure non tutti diventano depressi. E’ evidente che a fare la differenza è il tipo di risposta diverso dei non-depressi rispetto ai depressi.

La depressione colpisce maggiormente le fasce di popolazione comprese tra i 14 e 40 anni, oltre alle fasce di età –per le donne – intorno all’età della menopausa, dai 50 ai 60 anni, non a caso, quando le donne che hanno dedicato molte delle proprie energie e del proprio tempo ai figli piccoli e alla famiglia, vedono i figli uscire di casa, la coppia che esiste solo sulla carta, perchè presa dall’accudimento e dal lavoro, si è “dimenticata” da anni di essere una coppia. Anche l’età del pensionamento è altrettanto a rischio, quando lo stile di vita cambia forzatamente e quando si è sprovvisti di interessi personali, si finisce per cadere preda del senso di vuoto e inutilità.

Strategie non del tutto banali

E’ palese quindi che, se in alcuni casi più gravi  si debbano assumere farmaci, (sempre sotto controllo medico), in altri di minore entità o in una sindrome depressiva insorta da poco,  possano essere sufficienti modificazioni dello stile di vita, suggerimenti  ai familiari per far sentire la persona depressa capita, amata e tenuta in considerazione. Un ambiente che sostiene è fondamentale, un terapeuta che sollecita e aiuta nel trovare soluzioni personali indispensabile per evitare i farmaci.

I fattori scatenanti

Una persona può vivere apparentemente senza problemi per molti anni e poi, all’improvviso, può accadere qualcosa che lo fa crollare. Perchè?

Nella vita di una persona che mantiene un suo equilibrio, talvolta precario e faticoso, anche se nessuno se ne accorge, può sopraggiungere  un periodo di stress prolungato nel lavoro (una posizione di responsabilità che, pur se gratificante, aggiunge impegno e tensione) o nella vita familiare (persone malate da assistere, un sovraccarico eccessivo, sentirsi soli nell’assistenza  sia di un anziano che di bambin piccoli) .

Oppure  improvvisi  e inaspettati problemi economici , o di salute propria o di un familiare, talvolta prolungati nel tempo, unitamente alla delusione e alla sorpresa  di vedere che “gli amici “ si defilano e i parenti invece di aiutare, si allontanano.

In questi casi non è tanto il problema a far sentire depressi, ma il lato affettivo, di accorgersi che coloro su cui si pensava di poter contare  possono non essere disponibili, gli amici  e i parenti sono prontamente defilati.

Lo stress da lavoro ci può anche stare nel corso di alcuni periodi della vita, ma  è il  modo di affrontare lo stress che fa piombare nella depressione e nella sensazione di impotenza: quante volte siete rimasti, per esempio oltre l’orario stabilito, senza chiedere nulla in cambio o addirittura  senza che il capo vi chiedesse di rimanere, ma solo per “senso del dovere”, timore di perdere il posto, fare come fanno gli altri, timore a esprimere i vostri bisogni e la vostra opinione…..

Consigli pratici

  • Essere onesti con se stessi in modo da poter raggiungere il nocciolo del problema, agire per modificare i propri comportamenti. A volte basta davvero poco!

Mi è accaduto molte volte di seguire persone che non riuscivano a chiedere un aumento di stipendio, dopo anni di lavoro, solo perchè non avevano il coraggio di farlo, per soggezione verso il capo o perchè “davano per scontato” che l’aumento dovesse arrivare da sè!  E cosi si adattavano a fare moltissime ore in più non pagate! Per fare bella figura, per essere “meritevoli”. Ma nessuno si accorgeva di loro. Mentre si deprimevano perchè si sentivano sempre meno considerati.

  • Non saltare i pasti per rincorrere diete eccessive. Suddividere la propria alimentazione quotidiana in tre pasti principali e due spuntini al giorno. La routine di un corretto apporto calorico, la scelta di alimenti molto variati e mangiare un po’ di tutto contribuisce a mantenere stabili i livelli di zuccheri nel sangue ed evita cosi anche le oscillazioni dell’umore, dovute a cali di zuccheri improvvisi.
  • Seguire una dieta pro serotonina. I farmaci antidepressivi hanno lo scopo di innalzare chimicamente i livelli di serotonina. Un effetto simile è fornito da una serie di alimenti, quali: il pesce azzurro come le alici e le aringhe, olio e semi di lino, noci e frutta secca in genere. Questi cibi sono ricchi acidi grassi omega 3.
  • Banane e cioccolato aiutano a migliorare il tono dell’umore.
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Il cioccolato fondente e la frutta secca antidepressivi naturali

Il cioccolato fondente contiene alti livelli di triptofano, precursore della serotonina, e di flavonoidi, che sono degli antiossidanti che aiutano il buon funzionamento del cervello e la circolazione del sangue.

I semi di zucca contengono acido folico, che  contribuisce a regolare gli sbalzi dell’umore. Infatti bassi livelli di acido folico sono cause di irritabilità e insonnia.

Diminuire la quantità di caffeina, perchè  troppo caffè abbassa il livello di serotonina nel sangue.

Imparare la meditazione o esercizi come il Training autogeno, hanno  effetti benefici perl’umore e l’intero organismo. Una pratica regolare aiuta a ritrovare la serenità e la calma interiore, compresa la concentrazione che era stata minata dallo stato

Gettare la maschera

Cercare di vivere in modo piu autentico ogni aspetto della propria esistenza porta a sentirsi meglio, in sintonia con se stessi e col mondo. Occorre fare i conti con le aspettative degli altri e con gli eventuali sensi di colpa nel non poter sempre  accontentare gli altri,  per stare bene con se stessi. Quindi anche svolgere il lavoro che gratifica, nel limite delle possibilità.

La dott.ssa Paola Federici riceve persone cdepressione e senso di solitudineon sintomi di depressione o calo dell’umore, aiuta con percorsi antistress e colloqui di sostegno e psicoterapia, utilizzando tecniche e strategie adeguate In alcuni casi, quando necessario, collabora con medici e psichiatri se la persona è già in cura o necessita anche di cure farmacologiche.

Per informazioni  e prenotare un primo colloquio con la dott.ssa Paola Federici: tel. ai numeri 339.4632424 – oppure 02.9055510 (lasciare un messaggio in caso di segreteria tel. e il proprio recapito telefonico ). Oppure inviate una mail a: paolafedera@gmail.com

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La storia vera del bambino che non dormiva più

Il sonno tranquillo del bambino

Il sonno tranquillo del bambino

Quando l’insonnia nasconde una paura
Un caso risolto in due sedute

di Paola Federici

Fu la mamma a telefonarmi, molto preoccupata perchè il suo bambino di  7 anni non riusciva più a dormire. Me lo voleva portare in studio il più presto possibile, ma come sempre, preferisco vedere prima i genitori, senza il bambino, per poter parlare liberamente non solo del bambino, ma soprattutto di loro, della famiglia al completo. E di quello che potrebbe essere accaduto nel recente passato.  Le dinamiche di comunicazione all’interno della famiglia sono importantissime e lo psicologo deve poterle capire al fine di cercare la causa dei problemi di un bambino.

La mamma sbalordita e incredula, insistette se davvero non volevo vedere il suo unico figlio, ma fui irremovibile. Le spiegai che spesso poteva bastare parlare coi genitori per dare loro i consigli psicopedagogici opportuni al fine di sbloccare la situazione. Aggiunsi di portarmi, se ne avevano, dei disegni liberi di G. Avrei guardato quelli.
Si presentarono un paio di giorni dopo, insieme, la mamma e il papà di G.

IL COLLOQUIO

Scrivere è terapeutico

Scrivere è terapeutico

Dal colloquio coi genitori, G. Appariva come un bambino tranquillo, interessato a scuola, socievole, un bimbo nella norma, forse più sensibile e maturo della norma per i suoi 7 anni. Abituato a stare molto con gli adulti dopo la scuola, passava alcune ore dai nonni materni, finchè i genitori non tornavano dal lavoro. Aveva alcuni amici molto cari e stava bene coi compagni di scuola, che poteva invitare di tanto in tanto a casa dei nonni, dopo i compiti.

Educato e disciplinato, non aveva mai dato alcun problema. Non trovavo punti di aggancio, tutto troppo liscio e tranquillo.

Il problema per cui i genitori si erano rivolti a me era semplice ma sembrava di difficile soluzione: negli ultimi tempi G. stentava ad addormentarsi. Non erano capricci, era fin troppo chiaro, sembrava quasi –  spiegò la mamma – che non si volesse abbandonare al sonno, pur crollando di stanchezza. Il problema era cominciato circa un mese prima, ma non in modo cosi pesante. G. Faticava a dormire, si svegliava molte volte da un sonno disturbato e agitato, ma comunque riusciva a riaddormentarsi e tirava mattina, anche se non dormiva le ore consuete e si alzava stanco e intontito.

Ma nell’ultima settimana non dormiva propriò più. Non c’era nulla da fare “non voleva” dormire.

L’INDAGINE: COSA ERA ACCADUTO NEGLI ULTIMI TEMPI IN FAMIGLIA?

Chiesi allora se ricordavano cosa poteva essere accaduto nella vita del bambino negli ultimi tempi, negli ultimi due tre mesi circa, sia in ambito scolastico, che sociale che in quello familiare. I genitori si guardarono tra loro ma non sapevano trovare nulla di diverso dalla solita vita: a scuola niente di strano, le maestre non erano cambiate, i compagni nemmeno, i voti continuavano a essere buoni. Mah…si interrogavano.

  • Potrebbe avere avuto qualche dissapore o litigio con un amichetto? – azzardai.
  • – Ma no, niente del genere.
  • In famiglia tutto va bene? – continuai – la vostra coppia intendo, non come genitori, ma come coppia siete tranquilli, ci sono litigi, alterchi che possono aver preoccupato il bambino? Nulla di tutto ciò. La coppia filava d’amore e d’accordo.
  • In casa coi nonni il bambino sta volentieri, vero? Ci sono contraddizioni educative tra voi e i nonni? Discussioni riguardo al bambino e su cosa concedergli o meno?
  • No, no, va tutto bene. Loro stanno alle nostre regole.

nonno-giocando-suo-nipote_52df85e26853b-pIL NONNO  PATERNO D’IMPROVVISO SI AMMALA

  • Per esempio potrebbe essere mancato qualcuno – aggiunsi – qualcuno della famiglia cui il bambino era molto legato. Un lutto non è solo degli adulti….
  • In effetti c’è stato un lutto, ma risale a quasi un anno fa quando è mancato mio padre – rispose il papà di G. -Ma si affrettò ad aggiungere – ma il bambino non vedeva cosi spesso il nonno paterno come quello materno. Ogni tanto la domenica si andava a trovarlo.
  • E in quelle domeniche G. Era contento? Ci stava col nonno anche da solo?
  • In effetti sì, c’era un loro feeling se cosi si può definire, soltanto che non abitava cosi vicino da poterlo frequentare con assiduità. Non ho pensato che potesse essere cosi importante.
  • E poi cosa accadde un anno fa?
  • Il nonno si ammalò e finchè era a casa continuammo ad andare a trovarlo la domenica, anzi intensificammo le visite, data la situazione di bisogno . G voleva venire sempre con noi per stare vicino al nonno, si raccontavano un sacco di cose.
  • Poi un giorno il nonno si aggravò e venne ricoverato in ospedale – concluse il papà. – Andavate quindi a trovarlo in ospedale? – chiesi.
  • Certo, mia moglie e io andavamo e molto spesso.
  • E G. Non veniva ogni tanto con voi?
  • A dire il vero no, non glielo abbiamo permesso, il nonno era quasi irriconoscibile e non volevamo lo vedesse in quello stato.
  • Il bambino  chiedeva di andare a far visita al nonno?
  • All’inizio sì, spesso lo chiedeva. Poi smise, di fronte ai nostri ripetuti rifiuti.

nonni foto IL NONNO SI ERA “ADDORMENTATO”

I genitori non sono abbastanza chiari col bambino riguardo al problema della morte

  • Il bambino non chiedeva più quindi di andare a trovare il nonno. E voi come gliel’avete motivato?
  • gli dicemmo che il nonno non stava bene, era ammalato e lo stavano curando, andava lasciato tranquillo.
  • Quindi al bambino avevate lasciato una speranza che il nonno guarisse e potesse uscire dall’ospedale e rivedere G.
  • E poi cosa accadde?
  • Che mio padre morì. Non c’era guarigione ed era ridotto a pelle e ossa.
  • E a G. Cosa venne detto?
  • Non sapendo cosa dire, gli dicemmo che il nonno si era addormentato.
  • Si accontentò della spiegazione?
  • All’inizio no, anzi, si arrabbio’ molto con noi e insisteva per vedere il nonno!
  • E voi non gliel’avete concesso.
  • No, ci sembrava troppo piccolo per andare in ospedale. Neanche al funerale lo abbiamo portato, tanto meno al funerale, anche se lui l’aveva chiesto.
  • Perchè non l’avete portato al funerale? Lui lo voleva, voleva vedere il nonno per l’ultima volta.
  • Ci sembrava troppo piccolo per affrontare la morte – dissero i i genitori guardandosi. E poi, scusi dottoressa, cosa può importare una cosa successa un anno fa
  • Il bambino non ha potuto rendersi conto che il nonno era morto, nè all’ospedale nè al funerale. Inoltre gli avete detto, erroneamente che si era addormentato. Un po’ di confusione ….non credete?
  • Un cane o un gatto portano allegria ANCHE IL CANE “SI ERA ADDORMENTATO”
  • Il padre improvvisamente si rabbuiò, come se avesse avuto un flash improvviso. “Mi torna in mente una cosa – disse con un filo di voce – due mesi fa ci è morto il cane.
    • Prosegua – gli chiesi – per caso anche il cane si era “addormentato”?
    • Sì….- rispose – un mattino appena alzato andai fuori dove Jack aveva la cuccia e non lo sentii abbaiare nè mi venne incontro come al solito. Andai a vedere e lo trovai morto dentro la cuccia.
    • Immagino che il bambino fosse affezionato al cane – aggiunsi.
    • Sì, molto, lo portavamo a fare corse in campagna molto spesso io e lui.
    • E allora cosa fece quel mattino?
    • Lo coprii con un lenzuolo per non farglielo vedere.
    • Perchè fece una cosa del genere?
    • Non volevo lo vedesse morto.
    • E cosa gli disse come spiegazione?
    • Che Jack si era addormentato.
    • Come il nonno? – chiesi.

    D’improvviso s’illuminò e capì tutto. Il collegamento tra come avevano gestito la morte del nonno e la morte del cane, entrambi spariti nel nulla per il bambino e mai più rivisti. Entrambi spariti perchè “si erano addormentati”, appunto, nel sonno.

    EPILOGO

    Chiesi ai genitori un compito molto importante che dovevano eseguire insieme nei riguardi del loro figlioletto. La verità doveva essere detta, per porre fine a quella paura che non consentiva più a G. di addormentarsi, ma che lo faceva, al contrario, resistere al sonno.

    La morte del cane aveva recuperato nella memoria del piccolo anche la morte del nonno, evidentemente rimossa e riapparsa in tutta la sua potenza, in associazione con la morte del cane.

    Due esseri per lui molto cari che si erano “addormentati” per sempre, erano spariti. Un temibile avvenimento che avrebbe potuto accadere a chiunque, anche a lui. E perciò G. rimaneva sveglio, sempre, non doveva assolutamente perdere il controllo della situazione, a rischio di “addormentarsi” o di trovare , al suo risveglio, “addormentati “ altri dei suoi affetti più cari: il papà e la mamma. Quindi non poteva più permettersi di dormire.

    Spiegato tutto questo ai due genitori, l’epilogo fu veloce e immediato: li convocai nel mio studio tutti e tre, dapprima spiegai al bambino  cosa significava realmente addormentarsi e con chiarezza che dal sonno ci si risveglia. Poi invitai mamma e papà a spiegare con altrettanta chiarezza che il cane non c’era più perchè era vecchio e quando si è vecchi si muore. Il corpo finisce e non c’è più. Infine dissi loro di spiegare che anche il nonno era molto anziano e anche lui, essendo molto vecchio e ammalato, era morto, non addormentato.

    Il piccolo G. Sospirò e con gli occhi bassi disse : “Lo so”. La mamma lo prese tra le braccia e, commossa, se lo strinse, scusandosi con lui per aver spiegato cosi male le cose e per non avergli consentito di di vedere il nonno e il cane morti.

    • Ma voi non siete vecchi, vero? – disse il piccolo.
    • – No no – lo rassicurarono i genitori. Noi siamo ancora molto giovani e abbiamo ancora tanti anni da passare con te!

    Quella sera il piccolo G. Si lasciò andare a un sonno ristoratore lunghissimo , come da mesi non faceva. E finalmente si rilassò. Aveva compreso che la morte esiste e fa parte dell’esistenza. E che dormire è necessario, perchè ci si risveglia freschi e contenti.

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Corsi Milano “Psicologia del disegno infantile” anno 2017

Ricordiamo che il corso della dott.ssa Paola Federici  “L’interpretazione del disegno infantile” si tiene su richiesta di psicologi, pedagogisti sia a livello individuale,  che da parte di enti, scuole, associazioni, biblioteche che organizzano il corso.

Il corso è rivolto a psicologi, psicoterapeuti, psicopedagogisti, educatori. Per altre professionalità , docenti e genitori la dott.ssa Paola Federici può tenere conferenze e incontri ad hoc su richiesta. 

E’ disponibile anche su richiesta di librerie, biblioteche, comuni, enti pubblici e privati.

Per i dettagli del programma e per richieste da parte di enti e gruppi già formati scrivere mail a:
paolafedera@gmail.com
oppure inviare sms o tel. 339.4632424

In alternativa tel. allo 02.9055510 (lasciare messaggio e n. telefonico per essere richiamati).

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Io, la mia casa , la vorrei – ultimo libro di Paola Federici in uscita da FrancoAngeli editore

IO, LA MIA CASA, LA VORREI , di Paola Federici

Edizioni Franco Angeli (Milano) – cartaceo e ebook (allegati disegni on line)

” Io, la mia casa, la vorrei” uscirà sia cartaceo che ebook. Anche il libro cartaceo sarà comunque corredato dai disegni originali on line. Questo permetterà una più immediata comprensione del testo.

Il libro si basa sull’analisi dei disegni delle case dei bambini: cosa significano le differenze trai disegni della casa reale e della casa ideale? cosa si nasconde dietro la “casa dei sogni”? Questi e altri interrogativi possono trovare spunti di risposta in questo libro, dedicato ai genitori, agli educatori, ai nonni, a tutti coloro che hanno a che fare coi bambini, a casa, a scuola e in vacanza. Spero sia utile anche agli addetti ai lavori, come gli psicologi, i pedagogisti e gli psicoterapeuti.

Annuncerò l’uscita tra circa un mese. Al momento anche la copertina è “top secret”!
Potete già prenotare il libro presso www.francoangeli.it o nelle librerie.

Per coloro che desiderano approfondire l’argomento, ecco i titoli dei miei altri libri, usciti nella collana “Le Comete” (FrancoAngeli): I BAMBINI NON VE LO DIRANNO MAI, MA I DISEGNI SI’ – IL TUO BAMBINO LO DICE COI COLORI – GLI ADULTI DI FRONTE AI DISEGNI DE BAMBINI – MI DISEGNI UN ALBERO? – LO STRESS DEL TERZO MILLENNIO”.

Clicca sul link qui sotto per accedere alle specifiche del libro e per ordinarlo.

http://www.libreriauniversitaria.it/io-mia-casa-vorrei-disegno/libro/9788891743954

Inserisci la tua e-mail per essere informato appena il libro sarà acquistabile:
 
Io la mia casa la vorrei... Il disegno della casa reale e della casa dei sogni dei bambini

Io la mia casa la vorrei… Il disegno della casa reale e della casa dei sogni dei bambini

di Paola Federici

In pubblicazione

Ha spiegato a mamme, papà e nonni come capire i  bambini osservando i loro disegni e come aiutarli nel corso della crescita

Invitata dall’UTL nel 2016 nell’ambito delle attività culturali binaschine

Si è aperto un mondo per i presenti incuriositi davanti alle immagini  sullo schermo dei

Presentazione di "Gli adulti di fronte ai disegni dei bambini" alla libreria dei ragazzi a Milano

La psicologa Paola Federici spiega come capire i bambini dai loro disegni

disegni di bambini, mentre la psicologa Paola Federici, illustrava i tratti  del tracciato e le relative spiegazioni psicologiche , i significati simbolici dei colori, le curve, gli angoli , lo spazio riempito dalle mani infantili, come  se per incanto tutto fosse nitido e chiaro sulla loro personalità, sul loro stato emozionale, su come si relazionano con gli adulti e coi coetanei.

I bambini non sanno spiegare a parole le proprie emozioni, le paure, i perchè delle notti insonni, le gelosie verso un fratellino appena nato, la fatica dei primi giorni di scuola , tavolta fonte di disagio non sempre espresso e comunicato a parole. Lo fanno però attaverso  loro disegni liberi e spontanei, ecco perchè è bello e utile saperne comprendere i messaggi.

Tutto questo – ha spiegato la psicologa e psicopedagogista Paola Federici – si capisce nella lettura dei disegni spontanei dei propri bambini. Uno specchio che, a saperlo leggere  e osservare, può aiutare molto anche gli insegnanti e i genitori che non comprendono a volte il motivo di tristezze improvvise o il rifiuto ad andare alla scuola materna al mattino , il pianto improvviso e il mal di stomaco di fronte a situazioni a volte inspiegabili per gli adulti.

Dai disegni si possono avere conferme su come sta il bambino nella sua famiglia, come si colloca rispetto a fratelli e sorelle, se stia vivendo situazioni problematiche, se sia socievole o introverso, se ci sono problemi a scuola che non riesce a esprimere. Inoltre i disegni possono dare informazioni anche sull’evoluzione cognitiva, soprattutto osservando i particolari della figura umana tracciata dal bambino, si  capisce se sia precoce per esempio per imparare a scrivere e leggere , oppure se  ha raggiunto la maturità per frequentare la scuola materna. Il bambino intorno ai tre anni in genere disegna il viso , sa chiudere il cerchio che ne costituisce i contorni e ne è consapevole, spesso afferma “questa è la mamma” o “questo è  il papà”. Intorno ai due anni , il periodo oppositivo dei bambini, la cosiddetta “età del no”, è riconoscibile dall’uso costante del nero e dei colori scuri, colori che lasciano una traccia molto visibile di sè nel  disegno, elemento normale per un bambino di quell’età, che cerca di imporre il proprio Io in modo deciso per la prima volta. Queste e altre preziose  indicazioni  sono state illustrate , disegni alla mano, dalla psicologa nel corso dei due incontri.

Interessanti e vivaci le domande dei presenti, che hanno portato le proprie esperienze di genitori e nonni, cogliendo a pieno il senso della presentazione. E’ il terzo anno consecutivo che la psicologa Paola Federici interviene a Binasco invitata dall’UTL come docente. Nel 2015 ha parlato di depressione e ansia e delle strategie per superarle.

I libri di riferimento sono nella collana “Le Comete” edita da FrancoAngeli e scritta dalla dott.ssa Paola Federici. E’possibile richiederli alla stessa casa editrice  www.francoangeli.it o cercarli nelle migliori librerie: Gli adulti di fronte ai disegni dei bambini, Il tuo bambino lo dice coi colori, I bambini non ve lo diranno mai ma i disegni sì, Mi disegni un albero? 

A cura della redazione 

I bambini non ve lo diranno mai... ma i disegni Sì.

I bambini non ve lo diranno mai… ma i disegni Sì.

Il tuo bambino lo dice con i colori

Il tuo bambino lo dice con i colori

Gli adulti di fronte ai disegni dei bambini

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Incontro con la psicoterapeuta Paola Federici, al Centro Psicologico di Binasco a dieci minuti da Milano

Come faccio a sapere da chi andare?

Come faccio a sapere da chi andare?

Perchè si fatica a decidere di andare dallo psicologo?

a cura della Redazione

Pur consapevoli di averne bisogno, non ci si decide subito, peggiorando nel tempo la situazione – afferma la psicologa Paola Federici, che riceve nei suoi studi a Binasco e a Milano. Talvolta passano mesi, se non addirittura anni, barcamenandosi in stati di malessere, ansia, apatia, rinunce a obiettivi di vita per paure inspiegabili, fobie, stati di timidezza e insicurezza assurdi, che nulla hanno a che vedere con la reale situazione, ma la persona finisce per perdere occasioni importanti nella professione o nella vita privata, fuggendo anche da situazioni per altri semplici e normali, perché a loro creano un’ansia insormontabile. Altri vengono assaliti da attacchi di panico solo al pensiero di dover salire in ascensore o prendere una metropolitana, per non parlare dell’aereo. Non agendo e non cercando aiuto in un esperto del settore, rinunciano a vivere, possono rinunciare perfino a ottime occasioni lavorative,  solo se l’ufficio si trova al….quinto piano!

Altri ancora rimangono bloccati nella vita privata in relazioni patologiche, talvolta distruttive, senza riuscire a procedere ma nemmeno a chiudere col passato. E tutto ciò per anni. Perché è cosi difficile chiedere aiuto a chi potrebbe darlo? Perché non si va subito dallo/la psicologo/a psicoterapeuta?

il primo ospite della giornata

Il primo paziente della giornata

I motivi più frequenti per cui la gente non va dallo psicologo 

L’abbiamo chiesto alla dott.ssa Paola Federici, psicologa psicoterapeuta con una esperienza venticinquennale, che riceve nei suoi studi a Binasco e a Milano (in zona piazza Udine).

  • Perché molti non riescono a decidere di rivolgersi a uno psicologo psicoterapeuta, pur sapendo che potrebbe aiutare?
  • Sono tanti i blocchi che possono intervenire – risponde la dott.ssa Federici – Vediamo quali sono le paure più frequenti della gente, emerse dalle statistiche italiane, che fanno perdere molto tempo mentre la sintomatologia peggiora.  Infatti più si aspetta più i sintomi tendono a cronicizzare e la situazione può diventare di tale gravità da dover poi impiegare molto più tempo per risolverla e  dover ricorrere talvolta a un supporto farmacologico prescritto da uno psichiatra.
  •  Tutti penseranno che sono “pazzo”, pensano molti. Sembra impossibile – dice la psicologa – ma ancora ai nostri giorni questa sembra  una delle più grandi paure. La ragione è piuttosto antica ed è affonda le radici in ambito culturale. Basti pensare che in Italia è un pregiudizio ancora piuttosto presente, più nelle province che nelle grandi città. Spesso nei paesi, dove ci si conosce un po’ tutti,  si tende a “non voler far sapere” agli altri che si va da uno psicoterapeuta, per una sorta di vergogna, come se il benessere e la ricerca della salute non solo fisica, sia fonte di inadeguatezza di fronte agli altri. Il fattore culturale impone invece delle richieste che, sotto stress e in alcuni periodi della vita, non si riesce a soddisfare: il dirsi ad esempio “devi essere sempre all’altezza”, sei un padre di famiglia, “devi assolutamente non perdere il lavoro”, il sentirsi obbligati a dimostrare sempre il meglio di te stesso. Queste sono false convinzioni che possono portare al tracollo se non si ammette di avere anche qualche punto debole- come tutti del resto – e non si impara ad accettarsi. Non dimentichiamo poi che chi si rivolge a uno psicologo “non è pazzo”, lo psicologo non è lo psichiatra.
  • Lo psicologo non usa i farmaci e aiuta in  particolari periodi della propria esistenza a superare situazioni difficili, come lutti, perdite di lavoro, separazioni divorzi, o altre paure che possono insorgere senza sapere il motivo.  E questo può accadere a tutti. C’è quasi sempre un evento cosiddetto “scatenante” che fa insorgere i sintomi. Ma spesso questa è la punta dell’iceberg di problemi che esistevano già, solo erano latenti.
  • A lei è accaduto di frequente che i suoi pazienti si siano presentati troppo tardi per essere guariti?
  • Molto spesso le persone arrivano nel mio studio dopo vari anni di tentativi “fai da te”, senza risultato. Molte situazioni che si sarebbero potute risolvere all’insorgere dei primi disagi,  per esempio in giovane età, anche adolescenziale, se trascinate, sono  piu difficili e richiedono più tempo. Infatti  la persona si crea nel tempo delle difese a livello comportamentale, che hanno lo scopo di sfuggire ai sintomi, come l’ansia, anche somatizzata, alle paure,  mentre se la situazione fosse stata affrontata in embrione, si sarebbe risolta in poche sedute. Non dimentichiamo che fino a 20-22 anni l’individuo è in evoluzione, sta costruendo la propria identità ed è qui che se ci sono dei problemi sarebbe meglio lavorarci subito.
  • In treatment - Sergio Castellitto

    In treatment – Sergio Castellitto

    Questo significa che a 30-40 anni o addirittura a 50 è già tardi per stare bene?

  • Ma no, a qualsiasi età ci sono modalità e strategie adatte. Un bravo psicoterapeuta le conosce e le sa proporre, soprattutto quelle attuali mirate al problema, che tendono a rendere il paziente “attivo”, alla guida della propria vita. Per esempio le tecniche cognitivo comportamentali insieme a quelle che insegnano a rilassare il sistema nervoso vegetativo, possono far stare meglio in tempi abbastanza brevi, tutto è ovviamente relativo: se un bambino di 8 anni ha paura del buio e può risolverla in 4-5 sedute, un adulto di 30- 35 anni con una fobia trascinata da anni impiega certamente più tempo, perchè occorre imparare ad ascoltare le proprie emozioni sul nascere, percepirle e adottare nuove modalità per rispondere alle emozioni  sgradevoli e questo richiede più tempo a un adulto che a un ragazzino.
  • . Ma l’età non deve comunque condizionare la decisione: quando una persona sta male deve assolutamente rivolgersi a uno psicologo competente, meglio se è anche psicoterapeuta, con una certa esperienza.
  • Se abbiamo capito bene, è perciò la paura di essere etichettati dagli altri come malati di mente e il timore di sentirsi giudicati diversi che trattiene dal prendere la decisione, per non far sapere che c’è un problema.
  • In Usa, Paese dove l’abitudine di rivolgersi allo psicologo è molto più consueta che in Italia, e questo da molti più anni, si pensi che la gente si fa un vanto di informare che si ha uno psicologo di riferimento , dal quale andare più volte nell’arco della propria esistenza in caso di bisogno. Si esibisce la cosa in pubblico, perfino il nome dello specialista, lo si consiglia ad amici e conoscenti. Siamo agli antipodi coi nostri utenti che si guardano intorno prima di suonare il campanello dello studio dello psicoterapeuta, per timore di essere visti e che la cosa si venga a sapere in giro. A me è accaduto qualche tempo fa, un giorno una paziente  non arrivava. Dopo aver aspettato una ventina di minuti, sentii la sua voce in strada. Guardai ed era lei che parlava beatamente con una sua amica. Aspettai, pensando che si fosse sbagliata di orario. Dopo una buona mezzora di ritardo, suonò. Le chiesi come mai si fosse attardata in strada a parlare e lei mi rispose che aveva casualmente incontrato un’amica proprio davanti al mio portone e non aveva voluto far sapere che frequentava il mio studio. E cosi aveva rinunciato a mezzora della sua seduta pur di non far trapelare il suo segreto!
  • Altre motivazioni per cui la gente aspetta e perde tempo prezioso? 

    Dott.ssa Paola Federici

    Dott.ssa Paola Federici nel suo studio di Binasco

– La paura di sentirsi giudicati dallo psicologo è molto frequente. Personalmente chiarisco subito alla prima occasione, quando vedo il nuovo paziente timoroso nel raccontarsi, che lo psicologo non è un giudice, ma un esperto al servizio di aiuto alle persone.  

Collegata a questa paura ce n’è un’altra, che gli altri vengano a conoscenza dei  problemi privati e personali. Su questo argomento occorre ricordare che lo psicologo e lo psicoterapeuta hanno l’obbligo del segreto professionale. Si tratta di una professione sanitaria e il professionista è tenuto a conservare l’assoluto riserbo con tutti, anche coi propri familiari sulle informazioni ricevute in corso di seduta e sulle persone che si rivolgono a lui.

  • Scegliere i farmaci al posto di una psicoterapia, anche senza essere certi che sia la via opportuna per i propri disturbi, può derivare da una paura?
  • Sì, la scelta immediata della strada farmacologica può nascondere la paura di mettersi in discussione, di mettersi in gioco. Di doversi modificare almeno un po’ per poter stare meglio. E poi prendere due pastigliette mattina e sera è più veloce e meno dispendioso! Infine c’è l’abitudine, più medica che psicologica, di aspettarsi la soluzione dall’esterno, senza doversi “ascoltare” davvero e senza alcun coinvolgimento emotivo nel  proprio percorso di crescita. Ma quando si sospendono i farmaci, quasi sempre i problemi ritornano, talvolta al primo evento scatenate si sta peggio della prima volta. Il rischio è di cadere in un circolo vizioso: sintomi- farmaci – malattia- senso di impotenza e non uscirne più.

La scelta dei farmaci, nella eventualità fossero necessari,  va fatta comunque non dall’utente, bensì da un medico, preferibilmente uno specialista in psichiatria. Per alcuni pazienti con alcune patologie, c’è necessità di un supporto farmacologico. L’ideale in  alcuni casi sarebbe associare farmaci e psicoterapia per un periodo. Vi sono persone non in grado di affrontare un percorso di lavoro su se stessi, perché troppo in ansia o troppo depressi ma che hanno bisogno di un intervento immediato. Perciò i farmaci servono in taluni casi.  In seguito, quando stanno un po’ meglio, è utile affrontare anche i motivi per cui sono arrivati in quello stato e quindi un percorso di psicoterapia è sempre raccomandato. In tal caso, lo psicoterapeuta collabora con lo psichiatra, i farmaci vanno sempre assunti sotto controllo dello psichiatra. Ma, quando la psicoterapia comincia ad avere qualche risultato, il paziente può iniziare a ridurre i dosaggi delle medicine. Questo è un altro beneficio della psicoterapia, di dare risultati stabili nel tempo, in modo da non avere ricadute cosi pesanti  o di accorgersene in tempo, perché quando si lavora su se stessi si diventa anche più consapevoli e non si fa più “finta di niente”.

  • Mi verrà a costare un sacco di soldi, è ciò che si dente dire in giro abbastanza spesso. Ma è proprio così?

Il lato economico è certo da prendere in considerazione. Oggi però non è più l’epoca della psicoanalisi, che poteva proseguire per 5-8 o anche una decina d’anni, con  due o tre sedute settimanali. Le nuove tecniche, come dicevo prima, approcciano direttamente il problema. E’ vero che non dobbiamo togliere nulla dei suoi meriti alla psicoanalisi, ma non si ha il tempo, oggi, con le persone che incalzano e stanno male e non possono spendere capitali, per avviare percorsi cosi lunghi.

Le tecniche attuali cognitiviste e comportamentali, le tecniche ipnotiche e di rilassamento,le strategie esistenziali aiutano a ottenere risultati accettabili in tempi medio-brevi  e risolvere in modo definitivo i problemi attuali degli utenti. In fondo la gente che si rivolge a uno psicologo vuole stare bene, quasi mai può permettersi di stendersi sul lettino tre volte alla settimana.

Le tecniche attuali consentono di partire con un incontro settimanale, quando i paziente sta un po’ meglio ed è già padrone di tecniche apprese che usa anche senza il costante supporto dello psicoterapeuta, le sedute si possono diradare a a un incontro ogni dieci – quindici giorni. Infine ci sono gli incontri di mantenimento una volta al mese, dopo i quali la persona sa proseguire con le proprie gambe.

  • Quanto puo’ durare un percorso medio?
  • Premesso che ogni soggetto è un individuo a sé e ogni problematica è a sé stante, in media alcuni mesi. Per alcune persone ci sono percorsi veramente brevi, anche un paio di mesi, per altre si va dai sei mesi all’anno, sempre però diradando le sedute non appena sia possibile. Gli psicologi applicano il tariffario indicato dall’Ordine degli Psicologi, non si tratta di cifre poi cosi elevate e , ricordiamoci, che si tratta di un investimento che torna indietro in modo definitivo e vale molto di più di un viaggio alle Maldive.  Comunque consiglio di chiedere preventivamente allo specialista la sua tariffa, ma di non fermarsi solo a questa variabile per decidere  il meno caro. Meglio una buona esperienza e anche un certo feeling col terapeuta, che se non si crea, è meglio cambiare subito. La prima seduta è sufficiente per rendersene conto.
  • Le cose andranno a posto da sole col tempo, soprattutto quando si è bambini o adolescenti si ha solo bisogno di “crescere” e i problemi passeranno da soli. Che ne dice dottoressa di queste convinzioni, che abbiamo sentito spesso?
  • In quanto psicopedagogista, oltre che psicologa, lavoro da anni coi genitori e con gli insegnanti per le problematiche dell’infanzia e posso garantire che quando un problema è affrontato subito, appena si presenta, quando si è bambini, talvolta bastano anche solo uno o due incontri. Mi è accaduto di risolvere problemi di bambini molto piccoli, dai 18 mesi ai tre anni, senza nemmeno vedere i bambini, ma solo parlando coi genitori e dando consigli utili per aiutarli a risolvere in modo definitivo. Sono bastati  uno o due incontri.
  • Sarebbe un’impresa trovare lo psicologo giusto. Ecco un’altra delle resistenze dietro cui alcuni si rifugiano per desistere dalla decisione di farsi aiutare.
  • A questo riguardo – risponde la dott.ssa Paola Federici – consiglio di leggere il mio articolo uscito su questo sito, “Come scegliere il proprio psicoterapeuta”.

Aspettiamo commenti, opinioni, esperienze al riguardo da parte dei lettori.

ginetto sulla scrivania..uff che noia studio verso seraLa redazione 

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Come riconoscere la gelosia patologica

Gelosia patologica?

Gelosia patologica?

Quando la gelosia è un normale sentimento in una coppia e quando diventa patologica?

I segnali di una gelosia patologica sono evidenti e devono mettere in guardia, soprattutto nei casi in cui  a essere eccessivamente geloso è l’uomo. Difficilmente infatti la donna arriva ad atti violenti vero il partner se non addirittura a ucciderlo, mentre accadepiù spesso il contrario.

La gelosia non è amore

Troppo di frequente si tende a scambiare la gelosia patologica – che diventa vero e proprio possesso dell’altro/a – per vero amore. Si sente dire spesso la frase “Mio marito è molto geloso, mi controlla e non mi lascia uscire e se esco mi dà un orario per il rientro. Poverino, si vede che mi ama cosi tanto che non sa stare senza di me!”.

In realtà in una coppia in cui uno dei due componenti è molto-troppo geloso si innesca spesso un rapporto di dipendenza patologica tra i due: il geloso e la sua vittima, che “vuole” credere sia una manifestazione di amore estremo l’essere boicottata nella sua libertà personale , controllata come una minorenne e, talvolta, perfino minacciata. Questa convinzione assurda fa perdere però alla vittima il contatto di realtà.

Ricordiamoci che in una coppia dove si sviluppa una gelosia malsana , eccessiva, invadente della vita e della privacy dell’altro/a, ciò accade perchè l’altro elemento della coppia sta in qualche modo al gioco perverso del geloso/a. Questo atteggiamento di accettazione e falsa comprensione dà subito il via libera al geloso patologico , gli dà il consenso a esercitare sull’altro un contollo che diventa sempre maggiore e sempre più ossessivo.

Il geloso cerca di far  sentire in colpa la partner

Il geloso incrementa nel tempo la propria invadenza , facendola passare per gelosia perchè “ti voglio bene e non voglio ti accada nulla di  male”, con una sottile abilità riesce a convincere la sua vittima di essere colpevole, fino ad accusarla di situazioni inesistenti, del tutto fantasiose pur di tenerla in pugno. Colpevole anche se le  violenze e le aggressioni provengono dal geloso, perchè, si sente vaneggiare “è solo per colpa tua che mi hai fatto arrabbiare” e ancora “se  tu ti fossi comportata meglio io non ti avrei dato quegli schiaffi, che in fondo ti sei meritata”.

La persona vittima del suo persecutore geloso è del resto caratterialmente  predisposta alla dipendenza e all’autocolpevolizzazione, quasi sempre  reduce da un’infanzia e un’adolescenza all’insegna di un’educazione che ha instillato sudditanza nei confronti di una padre autoritario di cui avere paura, tanto da non essere mai realmente diventata una persona autonoma.

Autonomia non raggiunta

Spesso le vittime di un persecutore geloso patologico non hanno avuto modo di avere esperienze sufficienti di vita di relazione per poter valutare da sole e con la propria testa il comportamento dell’altro, affidandosi invece, una volta fiadanzati o sposati, completamente e passivamente all’altro, come fa un bambino piccolo con un genitore accudente.

D’altro canto il geloso patologico inconsciamente “cerca” la propria parrner scegliendola tra le donne che avverte con le caratteristiche tipiche della dipendenza: scarsamente autonome, talvolta non guidano o hanno smesso perchè impaurite o non incoraggiate dai familiari, se lavorano occupano posti di routine o di scarso valore sociale, sono comuqnue facilmente disposte ad abbandonare il posto di lavoro se il partner glielo dovesse chiedere. Hanno la temdenza sacrificale alla sopportazione quasi sempre appresa nella famiglia d’origine, oltre alla tendenza a rinunciare ad esprimere le proprie opinioni se queste possono generare discussioni o frizioni.  L’amor di quiete nasconde molteplici problemi dietro le quinte di alcune famiglie!

Spesso le donne, e soprattutto le donne, dipendenti e future vittime di partner gelosi e perfino violenti, si fidanzano ancora adolescenti e rinunciano quindi a quelle esperienze di relazione che le aiuterebbero al confronto e , quanto meno, a rendersi conto dei propri diritti nel mondo. La famiglia d’origine  non le ha mai aiutate realmente in questo, anche se a parole affermano di essete aperti e “moderni”.

Come riconoscere un geloso/a patologico

Le dinamiche del geloso patologico non sono poi cosi difficili da riconoscere nè cosi nascoste. Sarebbe sufficiente ascoltare il proprio istinto per accorgersi che qualcosa non gira nel verso giusto fin dall’inizio della frequentazione o del fidanzamento: arrabbiature per piccole banalità, alzare i toni e chiudere la discussione con scarsa propensione al confronto calmo e pacato, scenate per motivi inesistenti,  la tendenza a voler fare il vuoto sociale intorno alla vittima, parlar male delle sue amicizie di sempre, fino a chiederle di non frequentare alcune persone del suo ambiente senza validi motivi, solo perchè non adatte o antipatiche o comunque fare di tutto per metterle in cattiva luce. Uscire sempre insieme in coppia o solo con alcuni amici preventivamente selezionati dal geloso, fare in modo che gli interessi, gli hobbies e le attività personali del/della partner –vittima  si riducano via via che la relazione di coppia si approfondisce, affinchè la vittima perda tutti i propri contatti. Infine l’esercitare il controllo costante sulla vittima indagando nelle sue uscite, restringendo gli orari di libera uscita, frugando nelle sue cose personali, cassetti, borse e cellulare, per arrivare a togliere la chiave di casa e chiudere la porta per non permetterle di uscire.

Ma a questo punto la vittima è già  diventata preda e fa molta fatica a distinguere cosa sia giusto e cosa sia prevaricazione della sua persona e dei suoi diritti. La paura è subentrata e se non interviene qualcuno dall’esterno ad aiutarla a riprendere il senso di realtà perduto, è difficile che  possa uscirne da sola. Purtroppo la sola qualità che avrebbe potuto salvarla è l’autonomia personale. Ma questa è stata insufficiente fin dall’adolescemza . Il partner  non ha fatto che completare un lavoro iniziato, più o meno consapevolmente, nella famiglia di origine.

Commenti e storie personali sono i benvenuti.  Si risponde  a tutti.

Paola Federici

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Corso di Interpretazione del disegno infantile a Milano “I Bambini non ve lo diranno mai, ma i disegni sì”

I bambini non ve lo diranno mai... ma i disegni Sì.

I bambini non ve lo diranno mai… ma i disegni Sì.

La psicologa Paola Federici terrà il  suo corso sulla Psicologia de disegno infantile su richiesta per l’anno 2017. 

Il corso si può tenere a  Milano e anche in altre città, se gli enti che lo richiedono organizzano il corso, che è riservato a psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti e pedagogisti clinici, educatori.

Per altre tipologie di formazione, potete contattare la docente per sottoporre il CV.

 

Per avere il programma , i dettagli e il modulo di iscrizione, contattare il Centro Psicologico organizzatore e scrivete mail a : paolafedera@gmail.com

Telefonate allo 02.9055510 oppure al 339. 4632424

I bambini non ve lo diranno mai... ma i disegni Sì.

I bambini non ve lo diranno mai… ma i disegni Sì.

Gli adulti di fronte ai disegni dei bambini

Gli adulti di fronte ai disegni dei bambini

 

Mi disegni un albero? (Franco Angeli MI)

Mi disegni un albero? (Franco Angeli MI)

Il tuo bambino lo dice con i colori

Il tuo bambino lo dice con i colori

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MA I FARMACI ANTIDEPRESSIVI SERVONO DAVVERO?

farmaci o non farmaci?

farmaci o non farmaci?

Una lancia  a favore di una terapia integrata, più spazio alla psicoterapia dal ricercatore Irving Kirsh

Più volte a Milano per presentare i risultati delle sue ricerche, Irving Kirsh,  noto professore di psicologia statunitense presso l’Harvard Medical School negli Stati Uniti e presso l’Università di Plymouth nel Regno Unito, ha spiegato nel suo ultimo libro, già uscito in Inghilterra nel 2009, e ora anche in italiano, edito da Tecniche Nuove, come farmaci antidepressivi e psicoteraia arrivino a eguagliare i risultati. Come dire che senza imbottirsi di farmaci si possono migliorare se non annullare patologie come le depressione, le sindromi ansiosio depressive.  I

Il libro è rivolto non solo ai medici, ma al grande pubblico, è scritto in modo comprensibile e despone o risultati delle sue ricerche di anni . Il titolo “I FARMACI ANTIDEPRESSIVI, IL CROLLO DI UN MITO – Dalle pillole della felicità alla cura integrata”.

Kirsh è da anni impegnato a dimostrare,  attraverso ricerche su gruppi di persone depresse  in rapporto a gruppi di controllo, la sua ipotesi riguardo alla scarsa incidenza dei farmaci cosiddetti  antidepressivi, fino a oggi cura d’elezione per questa sindrome.

Il risultato delle ricerche aprirebbe le porte a più ampi spazi per il lavoro di psicoterapia, considerato da Kirsh come terapia d’elezione della depressione, se è vero che egli è giunto all’inaspettata conclusione – afferma Bottaccioli  – che il grande mito dell’efficacia dei farmaci nel curare la depressione poggi su prove così gracili da chiedersi come sia possibile che per diversi decenni, se ne siano tessute le lodi e vi si faccia tutt’ora ricorso in modo sempre più massiccio in tutto il mondo.

Uscito per la prima volta  in Gran Bretagna nel 2009 , il libro aveva  scatenato un putiferio, come pure era accaduto  con la sua prima edizione italiana, coinvolgendo i leader della medicina, della psichiatria e della psicofarmacologia internazionale.

Nell’estate del 2011, Marcia Angell – nota per aver diretto il New England Journal of Medicine, una delle più importanti riviste mediche del mondo, aveva celebrato i duecento anni di attività della rivista con un ampio saggio pubblicato in due puntate sulla celebre The New York Review of Books,a partendo dalla recensione di tre libri, tra cui questo di Kirsch, ricostruendo la storia recente della psichiatria.

Ne emerge un quadro molto allarmante in termini di eccesso di diagnosi psichiatriche e soprattutto di crescita inarrestabile delle prescrizioni di psicofarmaci sia da parte degli specialisti sia da parte

dei medici di base. Crescita resa ancora più evidente da un rapporto dei CDC di Atlanta (Il Centro governativo statunitense di statistiche sulla salute), pubblicato qualche mese dopo il saggio di Angell, che documenta come negli ultimi venti anni negli Stati Uniti ci sia  stato un aumento del 400% del consumo di antidepressivi.

Gli antidepressivi in Italia

 In Italia l’ultima statistica governativa attualmente disponibile è del luglio 2011, riferita a dati 2010, che documenta un incremento delle prescrizioni di antidepressivi triplicato nel periodo 2001-2010, con le cosiddette “dosi definite giornaliere” che sono passate da 11 (per 1.000 abitanti) nel 2001 a 35 nel 2010. Ma, mentre nel nostro Paese, con qualche rara eccezione, i media dormono il sonno dei giusti alimentato dalla consegna del silenzio che impera tra gli psichiatri e gli accademici, negli Stati Uniti sono scesi in campo i massimi esponenti della psichiatria e della psicofarmacologia. E lo hanno fatto non solo nelle riviste specialistiche, dove lo scontro si gioca sui numeri e sulle procedure statistiche adottate da Kirsch.

In difesa degli antidepressivi interviene  Kramer, che  insegna psichiatria a Providence, alla Brown University. E’ rilevante il suo intervento soprattutto perché egli è anche il capo della Taskforce incaricata dall’“Associazione Psichiatrica Americana” di redigere la quinta edizione del DSM, il Manuale diagnostico statistico dei disturbi psichiatrici, usato come referente diagnostico dai medici e dagli psicologi di tutto il mondo. La lunga risposta di Kramer in realtà non entra nel merito dei dati presentati da Kirsch, si limita a ribadire, anche con aneddoti personali, che gli antidepressivi funzionano e che è “pericoloso martellare sul fatto che gli antidepressivi siano placebo”.

Ma quanto è grande la differenza col placebo?

Kirsch, in questo libro e in una più recente meta-analisi dedicata all’uso degli antidepressivi nei bambini e negli adolescenti (molto largo e in crescita soprattutto negli USA), documenta che

la differenza tra placebo e farmaco in termini di beneficio oscilla tra il 18% e il 16%, nemmeno due punti nella scala Hamilton, che è lo strumento standard per la misurazione della depressione. Insomma davvero poca roba, tra l’altro ricca di effetti collaterali, che non giustifica imperniare la cura della depressione sul trattamento farmacologico.

Le alternative

Kirsch indica come alternative esistenti : psicoterapia, attività fisica, piante come l’iperico, presentando una documentazione molto interessante. In particolare l’efficacia della psicoterapia, soprattutto nel medio lungo periodo e nel prevenire le ricadute. Insomma, un approccio decisamente integrato alla cura della depressione, egli afferma, efficace e sicuro,

 (Articolo pubblicato da TVZam.it novembre 2013) – riproposto e rivisto  dall’autrice Paola Federici nel 2016.

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Sconto 20% per tutte le consulenze per tutto il 2016

Dott.ssa Paola Federici

Dott.ssa Paola Federici

Presso il Centro Psicologico, sede di Binasco (Mi), verrà praticato lo sconto del 20% per tutto il 2016 su tutte le sedute, sia di consulenza psicologica che nei percorsi di psicoterapia, compreso il primo colloquio.

Lo sconto è applicato per le sedute individuali, di coppia, per gli adulti e i ragazzi, nonchè per le relazioni diagnostiche.

La decisione nasce per favorire l’utilizzo di servizi ai quali troppo spesso le persone rinunciano, pur avendone talvolta molto bisogno, perchè sono costretti a fare delle scelte economiche in periodi difficili e finiscono per considerare un percorso di aiuto psicologico e psicoterapico come qualcosa di non strettamente indispensabile.

Non tutti sanno che…….

  • Presso il Centro Psicologico di Binasco e Milano le sedute vengono fatturate e le ricevute fiscali sono deducibili dal 730 come una qualunque altra “visita specialistica”. Infatti la visita psicologica e le sedute di psicoterapia rientrano nell’ambito sanitario.
  • Controllate sempre cosa offre la vostra polizza sanitaria o quella che vi ha rilasciato come benefit l’azienda presso cui lavorate: non tutti sanno che diverse categorie di lavoratori, per esempio, molti contratti bancari prevedono assicurazioni sanitarie che consentono il recupero di una parte – spesso anche considerevole – della somma spesa per sedute psicologiche – psicoterapiche presso uno Psicologo psicoterapeuta iscritto all’Albo Nazionale degli Psicologi.
  • Inoltre, pur recuperando con l’assicurazione sanitaria una parte delle somme spese, si può contemporaneamente dedurre un’altra quota della spesa anche dal 730.
  • Pensateci quindi, prima di rinunciare a priori a una consulenza psicologica: una parte della somma si recupera dal 730, un’altra parte da un’eventuale assicurazione sanitaria e infine noi ci  aggiungiamo lo sconto del 20%! Alla fine potremmo arrivare a pagare quanto un ticket e potete scegliere lo specialista di vostro gradimento.
  • In ultima analisi ma come prima cosa importante: condizione sine qua non, verificate che il nome dello Psicologo Psicoterapeuta risulti nell’elenco registrato all’Albo di una qualsiasi Regione italiana. In caso contrario  non sarete tutelati, nè economicamente, ma soprattutto professionalmente :
  • i casi possono essere diversi: lo psicologo è un neolaureato e non ha ancora sostenuto l’esame di Stato, perciò non puo’ essere iscritto all’Albo e non può esercitare la libera professione.
  • Lo psicologo non è uno psicologo, quindi non è registrato perchè non è quello che credete che sia.
  • Lo psicologo non è ancora laureato e quindi non può esercitare.
  • Lo psicologo è stato radiato dall’Albo (per motivi ovviamente gravi)

Per tutti questi motivi, siate certi di rivolgervi a specialisti competenti e autorizzati a esercitare la professione.

(Articoli correlati in questo sito,  per saperne di più sulla differenza tra psicologo e psicoterapeuta e altro ancora : andate al  link “Professione psicologo, una realtà da tutelare).

 

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